venerdì 26 giugno 2015

ESTATE





Splendenti
scivolano nell’azzurro
regali nuvole nuziali

Il vento sussurra alla verzura
canzoni a bocca chiusa

Nell’aria scorrono
fiumi di sole


 - Giovanna Giordani - 

sabato 20 giugno 2015

SOGNO DI UN POMERIGGIO DI QUASI ESTATE

Sono convinta che le forzature in natura non vanno mai bene. Così è stato per l'introduzione forzata dalla Slovenia degli orsi nei boschi trentini. Gli orsi, seguendo il loro istinto, hanno provocato gravi danni ad animali da allevamento e persone. Ora si vuole "educare" la popolazione che ama passeggiare nei boschi a mantenere certi comportamenti in caso di incontro con il plantigrado e viene anche omaggiata di un campanellino "antiorso"...

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Stavo passeggiando in uno dei boschi del mio amato Trentino.
Come al solito ero affascinata dall’ascolto dei teneri ciangottii che provenivano dai rami degli alberi e dal lieve stormire delle fronde che sembravano rivolgermi il loro saluto di benvenuto. Tutto era pace, serenità. All’improvviso questa pace fu interrotta da un rumore di rami spezzati, scricchiolio di sterpaglie e tonfi pesanti alle mie spalle. Mi girai e rimasi impietrita da ciò che stava davanti ai miei occhi. Un enorme orso, ritto sulle zampe posteriori e le fauci spalancate iniziò a rugliare verso di me in modo che mi sentii raggelare il sangue. I suoi denti bianchissimi e appuntiti spiccavano orgogliosi e mi sembrò che anche il bosco dintorno ammutolisse di terrore. Rimasi immobile. Il cervello era solo capace di dirmi che avrei fatto la fine delle galline, pecore, mucche e asini di cui tale animale, come avevo letto e visto sui giornali, era ghiotto. Attesi. Non potevo fare altro. Le mie gambe erano diventate due macigni inamovibili.
L’orso richiuse le fauci e mi fissò intensamente. -  Forse non gli piaccio. - Sperai. 
Lui continuava a fissarmi con i suoi occhioni luccicanti di  lampi di rimprovero, che non promettevano niente di buono, e sembrava mi dicessero:
 - cosa fai tu, qui, straniera? Come osi entrare nella mia casa senza aver suonato il campanello? –
Poi rugliò di nuovo tendendo verso di me le sue zampe anteriori.-         E’ finita – pensai e cominciai a gridare disperatamente: - Il campanellooooooo, dov’è il campanellooooo???!!!!!! –
Ma mi rendevo conto che le mie grida erano afone per cui nessuno poteva sentirmi. Riprovai ancora, mentre l’orso ormai mi era addosso con la sua scura mole ondeggiante e le fauci spalancate. Poi il buio mi avvolse e mi svegliai madida di sudore, ma felice di essere comodamente seduta sul divano di casa. Mi  resi conto di essermi assopita davanti alla tv, con il giornale sulle ginocchia dal quale spiccava il viso sanguinante dell’uomo ferito da un orso.
– Che ti succede? – mi si stava chiedendo con voce preoccupata. - Cos’è questa storia del campanello? –
-  ­Oh niente - risposi - mi raccomando, se andate a passeggiare nei boschi, non dimenticate di portare con voi un campanello. Lo esige il re dei boschi. Se entrerete nella sua reggia senza aver suonato il campanello, lui si arrabbierà parecchio, e… speriamo che ve la cavate! - 

- Giovanna Giordani -

mercoledì 17 giugno 2015

PETIZIONE IMPORTANTE


La crudeltà umana non ha limiti, purtroppo...








https://www.change.org/p/fermiamo-il-festival-yulin-della-carne-di-cane



https://action.hsi.org/ea-action/action?ea.client.id=104&ea.campaign.id=38221&ea.tracking.id=press



Basta fare copia-incolla deI link qui sopra, si aprirà la pagina per firmare




martedì 16 giugno 2015

RECENSIONE A "IL CERCHIO INFINITO" di Renzo Montagnoli





CONCERTO D’ANIME

Una nota poi un’altra
Un coro a bocche chiuse
Un suono non suono
Una vibrazione d’eternità
Sentimenti emozioni
Passioni
Soffuse malinconie
S’uniscono
Si mescolano
Con toni sommessi
Quasi una ninna nanna
All’umanità.

Tutto è chiaro nella poesia di Renzo Montagnoli, nessuna presenza di astruse metafore da decifrare, solo un dialogare sommesso, quasi un sussurro, come l’ascolto di una tenera confidenza.
Ritrovo il piacevole stile dello scrittore anche in questa sua seconda silloge.
L’autore osserva, pensa, riflette sulla realtà che lo circonda. La natura esercita su di lui un fascino ammaliatore che lo pervade portandolo a sentirsi con essa in  magica sintonia. Da qui l’esigenza di usare la parola per fissare emozioni, sensazioni, riflessioni che possano valorizzare ed eternizzare ciò che egli percepisce come esperienza del mistero infinito di cui si abbevera la sua anima. La sua anima, appunto, poiché egli ne parla come di una dolce amica fedele “Anima mia”, l’altra parte di sè che glisopravviverà in quanto spirito facente parte di quel cerchio che si espande all’infinito e dove anche il pensiero spesso “dolcemente naufraga”. E così l’anima diventa nocchiero della vita… “l’anima è il nocchiero che mi guida”.  (La guida)
Incontreremo ancora la sua anima in “Cento gradini” dove il poeta ne sente vibrare la presenza nel momento in cui apre le porte al silenzio che gli permetterà di ascoltare la voce del suo cuore. E poi in tante altre poesie come in L’ultimo approdo”…. E nella luce del tramonto/mentre s’appresta la sera/l’anima scivola silenziosa/lenta s’invola…”
In questa silloge Renzo ci prende per mano e ci fa  conoscere luoghi e atmosfere che sono per lui fonte d’ispirazione poetica e dai quali ci sentiamo delicatamente avvolgere come in una nuvola. E così  prima di tutto “vediamo” le sue poesie e poi ne assaporiamo il carattere profondo, sensibile e coinvolgente.
Ed ecco l’Onda ….”all’ultima meta/infine ha portato/la sua vita di sale”.Oppure Le cattedrali del cielo con il loro irridere ..”all’umana sapienza…”. Ogni visione ha la sua voce, il suo messaggio che si può cogliere solamente nella sacralità del silenzio.
Ma il filo conduttore di questa raccolta poetica è il tempo;  tempo che sembra essere lunghissimo per le rocce che si sbriciolano in millenni e breve per l’esistenza umana o brevissimo per altri esseri viventi. Il tempo che disegna un cerchio infinito dove ciò che si disfa si ricrea con un ritmo cadenzato ed incessante. Così  in La primavera  ”…Un’altra primavera/un’altra stagione/rubata all’eternità.
 Il tempo, che accoglie la vita, ne condivide le gioie e i tormenti e su tutto lascia la sua eterea carezza. …”un breve battito d’ali/ un volo improvviso/ un balzo di vita/ e subito pensi /che il tempo corre…(Il desiderio di vivere)
Leggo queste poesie come dei mini racconti in versi intrisi di malinconia, oserei dire leopardiana, per quel suo accostarsi alla natura con riverenza ed incanto ravvisando la sua precarietà in simbiosi con l’esistenza dell’uomo nel suo continuo nascere e morire, aggrappato ad un’eterna illusione. Eppure, come succede nel leggere Leopardi, la constatazione della caducità dell’esistente, non produce in noi pessimismo, bensì accettazione che non è “la docilità dello sconfitto”, come giustamente dice Manini nella prefazione, bensì l’accettazione e la curiosità di esplorare questo mistero con i mezzi che abbiamo a disposizione. Uno di questi è sicuramente la parola con la quale possiamo cercare di comprendere, almeno parzialmente,  quanto sta fuori e dentro di noi.
Ed è ciò che fa il nostro poeta invitandoci, ermeneuticamente, a riscoprire e assaporare le piccole gocce di serenità o felicità che qualche volta la vita sa offrire, regalandoci momenti imprevedibili e luoghi soffusi di magia, di sogni e di pace nei quali la poesia trova terreno fertile per germogliare.

                           
 Giovanna Giordani


Cerchio infinito - Poesie;Il



Anno 2008 - Edizioni Il Foglio
Prezzo € 10 - 70 pp.
ISBN 9788876061967 


giovedì 11 giugno 2015

RECENSIONE A "CANTI CELTICI" di Renzo Montagnoli



L’ho comprato e l’ho messo da parte. Per leggerlo, avevo bisogno del momento giusto. Ed è arrivato.
Ho fatto spazio dentro di me e la musica dei Canti celtici ha iniziato lentamente ad espandersi fin dai primi versi “S’alzano le brume del mattino/frustate dagli strali del primo sole/e al lontano suono di cornamuse/s’accompagna la lenta melodia di una cetra”… 
Ormai sono “dentro” dentro quel mondo lontano eppur presente perché l’autore l’ha saputo evocare nei luoghi che ne raccontano la memoria.
E così, al primo specchiarsi della luna sul fiume, i “GUERRIERI SULL’ACQUA” lentamente si animano e scivolano nel buio della notte per poi svanire alle prime luci dell’alba.
E ..”la voce grave e possente del fiume/E’ un canto maestoso che parla/d’un passato di genti devote…” M’incanto nell’ascolto. “IL LUNGO FIUME” però non è più lo stesso, è stato irrimediabilmente oltraggiato dai nuovi “umani”…che tristezza!
“IL CANTO DEL BOSCO” è un canto sublime che solo un poeta sa ascoltare e comprendere.
La vita di allora, come quella di adesso, con le speranze, le gioie, i dolori e il desiderio di pace e di serenità.
Come non commuoversi leggendo.. “…Un piccolo scavo/un ritorno alla terra/mani di madre che lasciano cadere/un gioco d’osso/un ninnolo intagliato/la compagnia per l’eternità.” “IN MEMORIA DI UN BIMBO” .
Ed ecco “LA FAMIGLIA” nella …”voce del nonno/ che racconta storie e leggende/di un tempo che fu…”
Adamantino “IL MORMORIO DEL VENTO” che custodisce le voci antiche per chi le sa percepire ed ascoltare.
Malinconicamente accattivante “AL DIO MORENTE”…”Uno solo a cui parlare/ma non vedere/lui che ha occhi per tutti/ma che non conosciamo/Non come te, Dio del fiume/che hai cullato i giorni di tutta la mia vita/e che fra poco morirai…/
E se fosse lo stesso Dio, quello unico e quello del fiume?.….
Leggendo “I CANTI CELTICI” è come trovarsi dinanzi a dei dipinti. Anzi, questi dipinti, noi li vediamo materializzarsi con il susseguirsi delle parole che scorrono come pennelli sulla tela nel fissare atmosfere ed eventi che ci entrano nell’anima con tutto il loro fascino irresistibile.
Queste poesie sono un prezioso inno alla memoria, affinché l’uomo non disperda il passato, ma lo sappia custodire come un  tesoro inestimabile a cui attingere per preparare il proprio futuro nella pace, nell’armonia con la natura e con i propri simili, senza più guerre e distruzioni, lasciando impronte di vera Umanità.
Grazie Renzo, anche da parte… loro, di cuore.


Giovanna Giordani


Edizioni Il Foglio


mercoledì 3 giugno 2015

LA GIOIA DI VIVERE





- E a forza di sterminare animali, s'era capito che anche sopprimere l'uomo
non richiedeva un grande sforzo
. -
- Erasmo Da Rotterdam


"...Non si deve uccidere nessun animale senza aver prima chiesto perdono allo spirito della sua specie..." (da Sull'immortalità degli animali di Eugen Drewermann)

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C’è un’immagine, fra le innumerevoli che percorrono la mia mente, che mi sorprende talvolta, inaspettatamente, nei momenti più imprevedibili.
E’ la visione che ebbi un pomeriggio di prima estate durante una passeggiata su un altipiano dove m’imbattei in una malga dal tipico aspetto rustico, ma ordinata e pulita.
Non ero avvezza, fin da piccola, a vedere da vicino gli animali da allevamento e quando mi capitava l’occasione di trovarmeli davanti è sempre stato per me un momento epifanico.
Le mucche, ad esempio, con i loro tondi corpi  paciosi, macchiati di quei colori caldi e contrastanti, con quei musi dagli occhi buoni e innocenti mi ispiravano sempre un misto di gioia e tristezza assieme.
La prima volta che vidi un gregge ero già in là con gli anni e non so descrivere l’emozione, la meraviglia alla vista di quelle bestiole che si muovevano fianco a fianco in un cammino di reciproca innata solidarietà; e come dimenticare lo struggente belato delle madri che richiamavano a sé gli agnellini? Un presepio vivente che mi riportava all’infanzia lontana.
Quel pomeriggio, dunque, capitai  a quella malga accanto alla quale stava una bassa costruzione.
Mi accostai incuriosita allo steccato che la circondava e fui accolta da un piccolo maialino che mi venne a salutare sfregando sul recinto il suo musetto rosa dagli occhietti gonfi, a mandorla, nella speranza, io supposi, di ricevere qualcosa da mangiare;  ma, sfortunatamente, non avevo niente con me e mi limitai a guardarlo con un misto di compassione e stupore.
Nell’angolo del cortile notai inoltre tre o quattro maiali accovacciati l’uno accanto all’altro quasi abbracciati, che sembravano dormire, come vinti da una grande spossatezza e indifferenti al mondo.
Non potei non pensare alla loro sorte. E fui pervasa da una subitanea malinconia.
Voi dite che sono patetica? Può essere, ma dirò di più:  improvvisamente dall’oscurità di un’apertura della casetta sbucò fuori un maialone roseo e rubicondo che si mise a saltellare come in preda ad una gioia frenetica. Cominciò ad urtare col muso i maiali addormentati come volesse svegliarli per farli partecipi della sua dirompente allegrezza. Ma i suoi tentativi di comunicare la sua letizia cadevano nel rifiuto totale da parte di questi ultimi, ché proprio non volevano saperne delle sue avances. Lo guardavo ballonzolare imperterrito, mentre i dormienti sembravano ammonirlo con la loro immobilità. Il messaggio mi sembrò chiaro: “non capisci, ingenuo, che per noi c’è poco da stare allegri?“
Ma lui, testardo, continuava a “ballare” emettendo gioiosi grugniti.
Mi discostai per entrare nella malga al cui soffitto stavano appesi dei salumi di varia grossezza e, alla loro vista, sentii dentro di me un lamento che saliva strisciando da non so dove.
Bevvi un caffè e me ne tornai a casa con una pezza di formaggio.

Forse vi farò sorridere ancora, ma mi capita ogni tanto, magari quando sono al supermercato o sto preparando il pranzo, di rivedere quel giocondo maiale saltellare goffamente con quel suo corpo buffo, roseo e pesante, voglioso di partecipare ai suoi compagni la sua gioia di vivere, ignaro del perché, la sua gioia, veniva così snobbata e incompresa dai suoi simili.

- Giovanna Giordani - 

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